Onorevoli Colleghi! - Con la presentazione della presente proposta di legge si vuole raccogliere e sostenere l'appello del Consiglio europeo di Lisbona del marzo 2000, rilanciato dal Libro verde della Commissione europea sulla responsabilità sociale delle imprese (COM(2002)347 del 2 luglio 2002), al «senso di responsabilità delle imprese nel settore sociale per quanto riguarda le buone prassi collegate all'istruzione e alla formazione lungo tutto l'arco della vita, all'organizzazione del lavoro, all'uguaglianza delle opportunità, all'inserimento sociale e allo sviluppo durevole». Si condivide questo appello, anzi, si considera l'impegno delle imprese per rafforzare crescita economica e competitività riconoscendo le proprie responsabilità sociali, ambientali e verso gli utenti e i consumatori, come uno degli elementi essenziali «della civiltà del mercato e dello sviluppo sostenibile».

 

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      Il dibattito sulla dimensione etica delle imprese, oltre a quella economica e giuridica, non è nuovo. Fin dagli anni trenta ci si è interrogati su quale fosse lo scopo di un'impresa e, fin da allora, si sono confrontate due opposte teorie, in vario modo articolate. Secondo una posizione nata negli Stati Uniti negli anni della depressione, scopo delle imprese e dei loro manager è soltanto quello di assicurare il maggior vantaggio agli azionisti. Ovvero, secondo l'opinione di Milton Friedman, «c'è una e solo una responsabilità sociale dell'impresa: usare le sue risorse e dedicarsi ad attività volte ad aumentare i propri profitti a patto che essa rimanga all'interno delle regole del gioco, il quale equivale a sostenere che competa apertamente e liberamente senza ricorrere all'inganno o alla frode». Questa teoria, come sottolinea Emilio D'Orazio, «presuppone il riferimento alla teoria neoclassica dell'impresa secondo cui l'impresa è di proprietà di un gruppo di investitori che si uniscono tra loro volontariamente mettendo insieme le proprie risorse al fine unico di raggiungere un aumento della loro ricchezza». Tale tesi, peraltro, non esclude che il management possa dedicarsi ad attività sociali ma «coerentemente ritiene che debba farlo solo in prospettiva strategica, cioè solo nella misura in cui tali attività contribuiscono ad aumentare i profitti dell'azienda». Per Freeman ed Evan, invece, i poteri del management oltre che per il profitto degli azionisti o dei proprietari, devono essere usati a beneficio dell'intera comunità. Questi economisti sostengono che i manager hanno un «rapporto fiduciario» verso una ampia serie di stakeholder dell'impresa, intendendo con questo termine «fornitori, clienti, dipendenti, azionisti e la comunità locale, come pure il management nel suo ruolo di agente di questi gruppi». Il fondamento morale di tale tesi risiede nel principio kantiano del rispetto delle persone come fini in sé e non come mezzi per qualche fine. I diritti di proprietà degli azionisti, quindi, non sono assoluti e non giustificano «l'uso delle persone (gli stakeholder) come mezzi in vista di fini aziendali». A ben vedere, però, tali posizioni non sono «interamente incompatibili ed esse spesso porteranno in pratica a risultati simili. Il manager seguace della teoria di Friedman tratterà bene gli stakeholder allo scopo di ricavarne un profitto, mentre quello seguace della teoria di Freeman li tratterà bene perché è la cosa giusta da fare: trattare bene gli stakeholder è giusto e alla fine può essere redditizio». Tale dibattito, in particolare con riferimento alle posizioni più propense a considerare la responsabilità sociale delle imprese come un dovere morale, ha avuto nel diritto internazionale, a partire dagli anni '70, un notevole riscontro e ha generato un gran numero di atti e documenti di cui non si può non tenere conto, particolarmente per quanto attiene ai recenti e vincolanti documenti della Commissione europea. Oltre alle dichiarazioni dell'Organizzazione internazionale del lavoro (OIL) dirette alle imprese multinazionali, concernenti la responsabilità di tali imprese con riferimento alla tutela dei diritti umani (fra tutte la Tripartite Declaration of Principles Concernine and Social Policy) e alle Guidlines dell'Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico, dirette a conciliare l'attività delle imprese multinazionali con gli obiettivi di politica economica perseguiti dai singoli Stati, oppure contro la corruzione, o ancora contro il lavoro minorile e per lo sviluppo sostenibile, grande importanza ha avuto la Global Compact che per iniziativa del Segretario Generale dell'ONU, nel 1999, ha riunito in un testo concordato con le imprese i princìpi della Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo, dell'Agenda 21 e della Dichiarazione sui princìpi e diritti fondamentali in relazione al lavoro, approvata dall'OIL nel 1988. Con il Libro verde della Commissione europea del luglio 2001, dal titolo «Promuovere un quadro europeo per la responsabilità sociale delle imprese» (COM(2001)366 del 18 luglio 2001), con la citata comunicazione, sempre della Commissione, su «Responsabilità sociale delle imprese: un contributo delle imprese allo sviluppo sostenibile» (luglio 2002), nonché con le risoluzioni 10 aprile 2002 e
 

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6 febbraio 2003 del Consiglio, sempre sulla responsabilità sociale delle imprese, si entra nella fase di una maggiore consapevolezza e concretezza nell'impegno per la responsabilità sociale delle imprese e di un appello diretto ai Paesi europei affinché si mettano in campo politiche attive di sostegno delle buone pratiche della responsabilità sociale e si coinvolgano in tali iniziative le piccole e medie imprese.
      Il citato Libro verde della Commissione europea del 2001 definisce la responsabilità sociale delle imprese come «l'integrazione su base volontaria dei problemi sociali ed ambientali delle imprese nelle loro attività commerciali e nelle loro relazioni con le altre parti». Adottando comportamenti socialmente responsabili, le imprese «gestiscono il cambiamento in modo consapevole sul piano sociale, cercando di trovare un compromesso equilibrato tra le esigenze e i bisogni delle parti interessate in termini che siano accettabili per tutti». La gestione responsabile e consapevole delle trasformazioni, secondo il Libro verde, non può che avere effetti positivi a livello macroeconomico. La responsabilità sociale delle imprese concorda con la strategia di sviluppo sostenibile adottata dal Consiglio europeo di Goteborg, secondo la quale «nel lungo termine la crescita economica, la coesione sociale e la tutela dell'ambiente vanno di pari passo» e può contribuire in modo significativo al raggiungimento dell'obiettivo strategico, fissato dal Consiglio europeo di Lisbona del marzo 2000, di «diventare l'economia della conoscenza più competitiva e dinamica del mondo, capace di una crescita economica sostenibile accompagnata da un miglioramento quantitativo e qualitativo dell'occupazione e da una maggiore coesione sociale». Naturalmente la Commissione non ignora che la responsabilità principale delle imprese è quella di generare profitti, ma ritiene che esse possano «al tempo stesso contribuire ad obiettivi sociali e alla tutela dell'ambiente, integrando la responsabilità sociale come investimento strategico nel quadro della propria strategia commerciale, negli strumenti di gestione e nelle loro operazioni». La responsabilità sociale delle imprese, insomma, non deve e non può essere considerata come un costo ma, piuttosto, come un investimento. Essere socialmente responsabili non significa soltanto adempiere pienamente agli obblighi di legge applicabili all'attività di impresa, ma andare oltre tali obblighi, «investendo di più nel capitale umano, nell'ambiente e nei rapporti con le parti interessate».
      La responsabilità sociale delle imprese, nell'impostazione del citato Libro verde, ha una dimensione interna e una dimensione esterna. Le prassi socialmente responsabili rilevanti all'interno di una impresa riguardano essenzialmente:

          a) la gestione delle risorse umane, quindi innanzitutto quelle dirette ad eliminare discriminazioni nel reclutamento e alla formazione e all'istruzione «lungo tutto l'arco della vita»;

          b) la salute e la sicurezza dei lavoratori con riferimento non tanto all'adempimento delle misure legislative e coercitive al riguardo, ma attraverso l'adozione di misure volontarie che integrino le attività legislative e di controllo pubblico, sia in materia di salute e di sicurezza che di qualità dei prodotti e dei servizi;

          c) l'adattamento alle trasformazioni. Le ristrutturazioni aziendali devono essere condotte attraverso la partecipazione e il coinvolgimento delle persone interessate con procedure aperte di informazione e di consultazione;

          d) la gestione degli effetti sull'ambiente e le risorse naturali, attraverso una riduzione del consumo delle risorse o delle emissioni inquinanti e l'esame dell'impatto sull'ambiente dei prodotti lungo tutto il loro ciclo di vita.

      La responsabilità sociale delle imprese si estende al di là del perimetro delle imprese e coinvolge, oltre ai lavoratori dipendenti e agli azionisti, i partner commerciali, i fornitori, i clienti, i poteri pubblici e le organizzazioni non governative che rappresentano la comunità locale e l'ambiente, e in particolare:

 

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          a) per le comunità locali la responsabilità sociale si riflette sulla buona integrazione nell'ambiente locale, attraverso il miglioramento delle condizioni di vita rappresentato dalle opportunità di lavoro e contribuendo alla salubrità dell'ambiente naturale circostante, oppure con l'impegno nei servizi al cittadino;

          b) quanto alle partnership commerciali e ai rapporti con i fornitori e i consumatori, le buone prassi impongono la riduzione della complessità delle operazioni e dei costi, migliorando la qualità, il controllo sulle pratiche dei fornitori, in particolare se si tratta di fornitori esteri, e l'assistenza, soprattutto se si tratta di piccole aziende, nonché l'essere affidabili e trasparenti con i clienti e i consumatori e garantire la massima utilizzabilità possibile dei propri prodotti (si pensi ai disabili);

          c) il rispetto dei diritti umani e le preoccupazioni ambientali devono essere garantiti, in particolare per quanto riguarda le operazioni internazionali e le catene di produzione, a livello planetario.

      Questa impostazione del Libro verde è stata confermata dalla citata comunicazione della Commissione del luglio 2002 con la quale, dopo una lunga consultazione e partendo dall'analisi degli ostacoli che potrebbero rallentare la diffusione della responsabilità sociale, è stata precisata una strategia comunitaria di promozione che tiene conto della sempre maggiore diffusione fra le imprese di prassi socialmente responsabili e dell'intervento, in molti casi, di legislazioni statali di sostegno. Tale strategia è riassumibile nella conferma dell'approccio volontaristico: «l'adozione di una politica di responsabilità sociale è una decisione che spetta alle stesse imprese, che nasce dinamicamente dalla loro interazione con le parti interessate». Tuttavia la Commissione ha voluto precisare che «spetta ai poteri pubblici incoraggiare l'adozione da parte delle imprese di pratiche responsabili sul piano sociale e ambientale». L'intervento pubblico si giustifica:

          per limitare la confusione generata dalla «proliferazione di strumenti diversi, difficilmente comparabili, della RSI (norme di gestione, programmi di etichettatura e di certificazione, elaborazione di relazioni eccetera)», che disorienta le imprese stesse, i consumatori, gli investitori e gli altri soggetti interessati e causa distorsioni del mercato;

          per verificare e misurare le prestazioni e l'elaborazione di relazioni e audit, anche attraverso il coinvolgimento diretto degli stakeholder;

          per facilitare l'accesso alle pratiche socialmente responsabili delle piccole e medie imprese.

      Si aderisce a tale orientamento, salutato positivamente dalle maggiori associazioni ambientaliste e per la tutela dei consumatori, degli utenti e dei risparmiatori, che sono state ascoltate e coinvolte nell'elaborazione della proposta di legge. In particolare, Cittadinanzattiva, Legambiente, Manitese, Amnesty International e le altre associazioni aderenti alla campagna «Meno beneficenza più diritti» che da anni promuove l'affermazione della responsabilità sociale delle imprese in Italia. Si è cercato anche di raccogliere i suggerimenti di esponenti delle autonomie locali e delle regioni e di organizzazioni sindacali e delle imprese oltre a quelli dei molti esperti sono stati consultati e che hanno accettato di dare un contributo. Anche grazie a loro, si ritiene, cresce ogni anno nel nostro Paese il numero delle imprese che adottano prassi socialmente responsabili.
      Il Governo uscente aveva inserito la responsabilità sociale delle imprese fra le priorità della Presidenza italiana dell'Unione europea. Al tema sono stati dedicati apprezzabili approfondimenti. La proposta di legge vuole essere un contributo alla maggiore affermazione della responsabilità sociale delle imprese e uno stimolo al nuovo Governo per portare nel Parlamento il frutto degli approfondimenti e del confronto avuto con i partner dell'Unione. Questo, in sintesi, il suo contenuto.

 

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      L'articolo 1 impegna la Repubblica «in conformità agli obiettivi dell'Unione europea» a promuovere la responsabilità sociale delle imprese, riconoscendone il ruolo di elemento di crescita economica e il suo contributo ad una maggiore coesione sociale. Contiene, poi, il riferimento ai princìpi costituzionali ai quali è legato questo impegno, in particolare quelli contenuti nell'articolo 41 il quale, a ulteriore conferma della «vitalità» della nostra Carta, afferma che l'iniziativa economica «Non può svolgersi in contrasto con l'utilità sociale», anzi, deve essere «indirizzata e coordinata a fini sociali».
      L'articolo 2 contiene la definizione di «responsabilità sociale delle imprese» e di «parti interessate» rifacendosi a quanto al riguardo stabilisce il citato Libro verde della Commissione europea del 2002.
      Il successivo articolo 3 istituisce l'Autorità per la responsabilità sociale delle imprese a cui è affidata, tra l'altro, ai sensi dell'articolo 4, l'individuazione di indicatori o standard per la definizione dei comportamenti socialmente responsabili e degli strumenti per valutare l'effettività di tali comportamenti e i risultati raggiunti, nonché la selezione, sulla base delle indicazioni del Forum consultivo, dei progetti da ammettere ai benefìci previsti dalla proposta di legge.
      L'articolo 5 istituisce il Forum consultivo con lo scopo di coadiuvare l'Autorità per la responsabilità sociale delle imprese nell'adempimento dei suoi compiti e di assicurare la più ampia partecipazione delle parti interessate alla definizione degli indicatori per la definizione dei comportamenti socialmente responsabili, quindi alla valutazione e alla verifica di tali prassi e all'individuazione delle misure più adeguate per incentivarle.
      L'articolo 6 assicura alle imprese socialmente responsabili strumenti di visibilità e di divulgazione delle loro iniziative presso il pubblico, anche attraverso la facilitazione all'accesso ai programmi televisivi e radiofonici del servizio pubblico.
      Con l'articolo 7 si delega il Governo ad emanare norme recanti consistenti agevolazioni fiscali per le imprese socialmente responsabili. Tali agevolazioni, insieme ai benefìci di comunicazione, si spera stimolino in particolare le piccole e medie imprese ad intraprendere la strada della responsabilità sociale.
      L'articolo 8 reca misure relative alla responsabilità sociale delle imprese a prevalente capitale pubblico, mentre l'articolo 9 reca una modifica all'articolo 3 della legge sulla tutela della concorrenza e del mercato (legge n. 287 del 1990), vietando la massimizzazione del profitto derivante dal «dumping sociale  » ed equiparandola all'abuso di posizione dominante. Anche il successivo articolo, l'articolo 10, si occupa di questo tema, istituendo l'Osservatorio nazionale sul dumping sociale, con lo scopo di monitorare il fenomeno anche in relazione all'attività in Italia di imprese estere. Come è noto il fenomeno della massimizzazione del profitto, ottenuta grazie alla violazione delle norme sul lavoro, oltre a costituire una gravissima violazione delle leggi statali, garantisce a chi la attua un ingiustificato vantaggio in termini di competitività nei confronti di chi produce nel rispetto dei diritti dei lavoratori. Si pensi al vantaggio sul costo del lavoro derivante dallo sfruttamento del lavoro minorile o da orari di lavoro di 10 o più ore, come avviene purtroppo in molte parti del mondo. Si ritiene che l'impegno contro queste pratiche, che costituisce uno degli elementi essenziali della responsabilità sociale, oltre ad essere un obbligo morale, sia essenziale per la tutela della concorrenza e la correttezza del mercato. Per questo si attribuisce grande importanza all'attività di monitoraggio svolta dall'Osservatorio che, oltre a fornire un supporto all'attività dell'Autorità garante della concorrenza e del mercato, orienta le scelte dei consumatori e tutela i prodotti delle imprese che non ricorrono a tali mezzi per ottenere ingiusti vantaggi competitivi. L'articolo 11, infine, reca la copertura finanziaria.
      Non si è tra i primi ad avere cercato di portare all'attenzione del Parlamento la responsabilità sociale delle imprese, già nella XIII legislatura un testo, scaturito dalla campagna «Meno beneficenza più
 

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diritti», aveva percorso una buona parte del cammino parlamentare dovendo arrestarsi solo per la fine della legislatura. Ci si augura che la presente proposta di legge, che riprende l'analoga proposta di legge presentata nella XIV legislatura, forte dell'ulteriore elaborazione scaturita dall'iniziativa citata e del contributo dei soggetti interessati, sia condivisa da parlamentari di tutte le forze politiche e riesca finalmente a dotare il nostro Paese di una base normativa adeguata allo sviluppo della responsabilità sociale delle imprese, secondo le indicazioni dell'Unione europea e degli organismi sovranazionali e internazionali.
 

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